TROPICO BANANA
Italianos da Cuba al Brasile
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Una premessa
(sono passati vent’anni)
Pubblicato per la prima volta nel 2001 (seguendo il
piccolo successo dell’Isterico a metano),
questo libro - letto oggi - va preso con le dovute pinze da caminetto: con
spirito da cacciatore di tesori nei mercatini di materiale vintage. Su questo
affollato pianeta nell’ultimo ventennio di cosine ne sono successe mica poche,
e così è stato per Cuba e per il Brasile. Castro e Amado non ci sono più, sono
arrivati Lula e, ahimè, Bolsonaro. Nella quotidianità dei due paesi sono
cambiate un’infinità di piccole cose, altre sono rimaste identiche. Se
conoscete Cuba e Brasile noterete un certo spirito da modernariato aleggiare
qua e là fra le pagine a seguire; se non li conoscete potrete assaporare svariati
vizi e virtù di quelle latitudini anche senza investire in biglietti d’aereo
(non sono bei tempi per trasportarsi di qua e di là). Molto, rispetto al testo
del 2001, è stato cassato perché non aveva più ragione di esistere. L’accetta, in
particolare, ha lavorato contro quelle parti obsolete, noiose, quasi
filosofiche o da reportage che non amo più. In cambio della muffa, ho aggiunto qualche
testo giudicato troppo hardcore (non da me) durante il primo editing e che poi
ha trovato seconda vita su altri libri (L’importante
è muoversi, Hai fatto il mondo?, Viva Brasil!).
Inoltre, un po’ di dietro-le-quinte: Tropico
Banana edito da Feltrinelli vendette
abbastanza bene. Non senza orgoglio, lo trovai citato più volte come libro
consigliato nella top ten (mi scuso per la bestemmia in lingua aliena)
dei testi migliori su questi due paesi, a braccetto con opere di Autori ben più
quotati e blasonati. Una breve parte del testo fu adattata per il teatro, altre
furono riprese da Importanti Riviste di Giornalismo dedicate all’America
Latina. Grazie al libro conobbi una serie di scrittori, attori, giornalisti, nuovi
amici e pure un paio di amanti (come saggiamente mi consigliò il mio
amico-filosofo urbano Andrea: «Vai alle presentazioni del libro, non fare lo
stupidino timido. Servono. E poi, male che vada, anche se il libro non vende,
trombi»). A un festival della letteratura a Cuneo una maestrina delle scuole
elementari, in visita con i bambini, mi chiese di che cosa parlasse il mio
libro, platea il suo battaglione di esserini in miniatura. «Ehm…», dissi
(cercando vie di fuga), «Si tratta di un libro di… viaggio. Al caldo, dove ci
sono le palme». Sempre grazie al libro, sbafai gratis a innumerevoli tavoli di
ristorante, fra una presentazione e l’altra.
In casa Feltrinelli Tropico Banana lo aveva
voluto la somma editor, Valeria Raimondi, donna di buon gusto e di buone
letture, boss-a della gloriosa collana Traveller.
La lettura approfondita del manoscritto, però, era sfuggita a Carlo
Feltrinelli: con tutto quello che pubblicava, il Capo Supremo mica poteva
leggere tutto. Una volta pubblicato, il dado era
stato tratto, gli alberi abbattuti e l’inchiostro versato, ma la coscienza
politica ne risentì. Il padre-padrone dell’Azienda, dopo averlo finalmente letto, si stizzì per aver inconsapevolmente
tradito l’amico Fidel, e così le scelte editoriali a seguire riguardanti la mia
personcina presero un’altra piega (il mio libro successivo, Vita da Toubab, dedicato al Senegal e
scritto apposta per Feltrinelli, non fu pubblicato).
Buona lettura!
Pietro Scòzzari
Okinawa, agosto 2021
Introduzione
Tropico
Banana è una canzone demenziale dei Chiclete
com Banana, band che fa musica carnevalesca (ma non solo) niente male, di
Salvador de Bahia, Brasile. È anche uno dei leitmotiv di Angeli, forse
il miglior vignettista brasiliano: paulista di origine italiana, ha disegnato
storie memorabili tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta su Chiclete
com Banana (a fantasia di nomi i ragazzi sono solo apparentemente
limitati), rivista di fumetti underground
fino a qualche anno fa straletta e amata dalla suburra più coatta, illuminata e
metropolitana del Brasile, oltre che da me. Un po’ il Frigidaire
brasiliano, evaporato nel panorama editoriale come quest’ultimo, Chiclete
com Banana ha dato voce alle menti più folli della scrittura e del disegno,
non solo satirici, di quel Paese Dorato.
Nelle vicende dei tanti personaggi di Angeli,
oggi in parte trasmigrati su Internet o su alcuni quotidiani - Os Skrotinhos,
gemelli sporcaccioni che aprono bocca solo per dire maialate; Bob Cuspe,
tardo-punk che sputa sonori scaracchi in faccia a ciò che odia (tutto e tutti);
Rê Bordosa, sbevazzona bukowskiana; Walter Ego, narciso
intellettualoide che passa la vita a dialogare con lo specchio in bagno; Bibelô,
classico macho cafone, tutto fischi alle bunde di passaggio, stuzzicadenti
fra gli incisivi e grattate alle parti basse; Rhalah Rikota, guru finto-indiano
che pensa solo all’intimo donna delle discepole e alla pienezza del suo
stomaco -, uno dei motivi ricorrenti è spesso quello di appartenere tutti,
sebbene attori di un presepio metropolitano, a un immaginario Tropico Banana:
un grande paese immaginario vittima dello sfruttamento, prima di tutto
economico, poi anche sessual-vacanziero, dei potenti del mondo (multinazionali
straniere e ricchi fazendeiros locali in prima linea). Un po’ una
Repubblica delle Banane, la stessa di cui Woody Allen si elegge presidente
rivoluzionario e che fluttua come spauracchio fra le menti latinoamericane più
attente di ciò che non vorrebbero fosse il loro paese.
Gli italiani, di certo, hanno una forte
responsabilità nel contribuire all’effettiva esistenza di questa repubblica
immaginaria: sia in America Latina, dove le affinità culturali e linguistiche
sono maggiori, sia nel resto del “terzo mondo”, dove l’arroganza da membro del
G8 e il business invadente dei tour operator la dicono lunga sul processo di
omologazione globale, a Nostra Santa Immagine & Somiglianza.
Da qui il sottotitolo, Italianos da Cuba
al Brasile. I due paesi non sono stati scelti perché più “bananiferi” di
altri (fate un salto nel Salvador o nel Paraguay, o magari anche solo a San
Marino, e di banane ne vedrete a pacchi), ma per altri due motivi, molto
precisi. Innanzitutto perché frequentati da orde di nostri compatrioti/e
(oranghi/e), in gran parte filosofi dell’avventura erogena, possibilmente
abbronzata e a prezzo da 3x2. E poi, soprattutto, perché hanno molte
caratteristiche in comune: la religione (santería a Cuba e candomblé
in Brasile, figlie degli stessi schiavi e degli stessi re africani trasformati
in dèi/santi), l’amore per la musica che fa muovere le anche e gli ormoni, la
gioia di vivere nonostante le mille magagne di economie surreali, una forte
sensualità spruzzata nell’etere senza preoccuparsi dei danni al buco dell’ozono
e quasi istituzionalizzata, certa architettura popolare (casette con facciate
che sono la traduzione della fantasia matta di entrambi i popoli: ingressi
triangolari, tinte che vanno dal viola fosforescente all’oro, cornicioni con greche,
ecc.) e, più in generale, una fratellanza spirituale, intangibile ma fortemente
percettibile nell’aria: all’Avana come a Rio de Janeiro, a Santiago come a
Salvador de Bahia.
Lo scopo di questo libro, dunque, oltre a
quello principale di farmi lievitare il conto bancario e allargare il numero
delle ammiratrici, vorrebbe essere quello di descrivere/trasmettere, attraverso
brevi aneddoti di esperienze (tutte, lo giuro, verissime), due realtà per molti
aspetti simili, ma anche molto distanti, unite - non sempre - da quell’anello
di congiunzione che è il turista/viaggiatore/curiosone/abatantuono italiano (ma
non solo: può anche essere spagnolo o nordamericano, l’approccio con il ‘Sud’
del mondo, quasi sempre, è il medesimo). Sicuramente molto più per criticare le
nostre, di magagne, poi, eventualmente, le loro. Il lettore
attento, al di là della superficiale e apparente pennellata di sarcasmo
antiterzomondista (facciamoci due risate sulle miserie del Sud, poi, magari,
riflettiamoci sul serio, passando prima attraverso le nostre: meglio che
piangere immediatamente lacrime buoniste, per poi rifilare diete liofilizzate o
costumi da bagno ai terremotati o ai profughi dei Balcani, lasciandoli a marcire
nei container), saprà scorgere che la verità vera, quella su cui
riflettere, non sia perché al tropico crescano le banane - i conquistadores
ce l’hanno insegnato a machetate mezzo millennio fa -, ma perché un
occidentale, sempre più solo potenzialmente ricco anche di cultura e di storia,
debba sorbirsi ore di volo per coltivare i bananeti della propria sfiga.
Avviso ai consumatori
Questo
libro, in parte, può essere meglio apprezzato (o detestato) da chi già conosce
i paesi in questione. Solo chi già c’è stato potrà riconoscere, più rapidamente
di altri, punti di riferimento e atmosfere, a volte, celati fra le righe. Per
chi non ha mai visitato il Tropico Banana, invece, questa lettura
offrirà una prima infarinatura - ce l’ho messa tutta - ben lontana dai cliché
patinati dei dépliant turistici.
I fatti narrati vanno storicizzati, congelati
nel periodo cui si riferiscono: il 1999 (anno di grandi cambiamenti) per la
parte cubana, l’ultimo decennio del Novecento per quella brasiliana. Tentare di
estendere e adattare le situazioni descritte a un periodo successivo sarebbe
una forzatura falsante: molto, da allora, è cambiato.
Ai lettori la parte ‘brasiliana’ potrà
apparire meno compatta di quella ‘cubana’. Ciò è dovuto al fatto che è stata
scritta a più riprese e ambientata a diverse latitudini (il Brasile è un luogo dell’anima),
in cinque anni. Il taglio che ne risulta è volutamente frammentario: brevi
flash che, spero, riescano a comunicare emozioni e a dare un’idea - anche senza
seguire un principio di omogeneità tematica e anche a chi non c’è mai stato -
del “País do Futuro”.
Ringraziamenti
A Zio (Filippo), per parte della parte do
Brasil; ad Àgnel, compagno di merende cubane; a Valeria, maestrina di
Vigevano cui devo i primi (secondi) rudimenti dell’ABC. Last but not least: al compagno di merende giapponesi Gino Goya
Sensei, in arte Knauss, senza il quale i miei libri mai avrebbero potuto
trovare la luce tra le folte liane della foresta Amazon-ica.
INDICE
Una premessa
Introduzione
PARTE PRIMA - J&J: Jineteros, Jineteras (e
molti Tarzan)
Insegnare
la salsa stanca
Vamos
a la disco
Ruote
proibite
Bulla
Las
Tunas
Particulár
¿Hablas
español?
Il
meglio e il peggio
Varadero
Ghetti
Storie
di polli
¿Soy
cubano?
Siboney
Watanga
PARTE SECONDA - Delirium
brasiliensis
Dèi
Paulinho
La
pazza d’oltremare
Capoeira
Lunga
vita al Capitano Thomás!
Isole
tropicali
Gigliola
Bulàgna-Milano
Franco,
il rastamerdo
Al
ladro!
Sou
brasileiro?
Babbo
Natale
Giovanni,
ahrf, ahrf
Egisto
Glossario/gergario
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