“Viva Brasil!” è un ritratto duro e
autentico del Brasile, dove l’autore ha vissuto per oltre quattro anni
nell’arco di un ventennio, prima e durante il governo di Lula. Diciotto
racconti a cavallo tra follie religiose e follie sessuali, decadenza urbana e
miserie umane, con una pennellata di humour e di amore sul tutto. “Viva Brasil!” è il ‘cugino cattivo’ di “Tropico Banana” e di “Brasile, País do Futuro”, gli altri due
libri di Pietro Scòzzari dedicati al Paese sudamericano.
Dopo tante prodezze il nostro turista garantisce agli
amici in patria di aver raggiunto la vera felicità, sostiene che la vita ai
tropici è meravigliosa e che gli piacerebbe investire quaggiù i suoi risparmi e
comprarsi una casetta vicino al mare per viverci con la sua negretta graziosa e
compiacente, abbandonando per sempre il freddo e la neve e senza più vedere le
persone educate, precise, calcolatrici e silenziose del suo paese. Cade insomma
in un trance ipnotico, ed esce dalla realtà.
(Pedro Juan Gutiérrez, da Il Re dell’Avana)
Quasi tutti erano visibilmente meticci. Che il paese
fosse povero non era una vergogna (nonostante in seguito avrei desiderato che
si arricchisse). Supponiamo che fossimo pacifici, affettuosi e puliti. Era
inimmaginabile che qualcuno nato qui volesse vivere in un altro paese.
(Caetano Veloso, da Verdade Tropical)
Il Brasile è il paese in cui lo scontro fra natura e
ragione, come dice Leopardi, o tra memoria e innocenza, come dico io, mi è
parso più evidente... Il paese dove mi è sembrato che questo scontro potesse
trovare, non senza sofferenza, la sua soluzione.
(Giuseppe Ungaretti)
Travesti, trabalhador, turista
Solitário, família, casal
Todo mundo tem direito á vida
E todo mundo tem direito igual
(Lenine, da Rua da Passagem - Trânsito)
Eu não gosto do bom gosto
(Adriana Calcanhotto, da Senhas)
Quem gosta de miséria é intelectual
(Cidade Negra, da Voz do excluído - Enquanto
o mundo gira)
INDICE
Avviso ai consumatori (introdução)
Parte prima - Foresta,
anche senza alberi
Buona domenica
Finché la barca va
La gorda
Foresta di plastica
Daime
Gerusalemme non era in Palestina?
Parte seconda - Tribù
Grazie a chi?
Scimmie
Le Rosse
Una città davvero eclettica
Sem graça
Ho fatto il Brasile
Parte terza - Xibiu
(Sezione hardcore - V.M. 18)
Nulla cambia
Irene
Birra volante
Vila Mimosa
L’ora del tè
Saverio, doido demais
Glossario e ‘gergario’
AVVISO AI CONSUMATORI
(Introdução, nonché captatio benevolentiae)
Ho iniziato a
frequentare e amare il Brasile nel 1989, inseguendo le note di Jorge Ben e i
libri di Jorge Amado. Da subito, appena sbarcato a Rio de Janeiro, mi misi due
fette di apresuntado sugli occhi e,
inebriato da quel potente mix di odore di alcol del combustibile per auto,
donne di bellezza sovrumana, musica pazzesca, cibi e luoghi esotici, inseguii
solo ciò che volevo inseguire: a grande
beleza. Per circa vent’anni lavorai gratuitamente come volontario
autonominato portabandiera dell’ente del turismo brasiliano, lucidando
dichiaratamente tutti gli ori e ignorando le molte magagne del Paese. Mitizzai
la povertà, facile operazione intellettuale poco in sintonia con la vita sudata
dei più. Da estrangeiro, viaggiando
sulle note di Caetano Veloso, volai alto per un ventennio, in parallelo alle
presidenze del ridicolo Sarney, del cocainomane Collor, dell’irrilevante
Cardoso e, infine, del carismatico, rivoluzionario e illuso Lula. Illuso perché
speranzoso di risolvere i profondi problemi del Paese e, soprattutto, perché
fiducioso che la corruzione, cancro atavico in Brasile e in molti altri luoghi,
non sarebbe appartenuta al suo partito e ai suoi uomini. La cronaca, dopo
l’infatuazione da illusione di aver finalmente raggiunto il futuro - dal 1941
il soprannome del Brasile è País do
Futuro -, ci racconta il contrario. Lula in galera, Bolsonaro - specie di
figlio di Trump e Salvini in salsa tropicale, apparentemente uscito da una
brutta barzelletta sui militari o sui gondolieri - al potere: sono tempi bui
per il Grande Brasile. La sinistra, esterrefatta, globalmente - U.S.A., Italia,
Filippine, Brasile, Ungheria - si interroga: dove abbiamo sbagliato? Possibile
che la gente sia così stupida e non veda che ci battiamo per l’eguaglianza
sociale, per dare una possibilità a tutti? La risposta della gente, stupida o
meno, comunque votante, è puntualmente arrivata. Basta con le chiacchiere,
basta con la delinquenza. Basta con il tutti. È l’ora di fare, di mettere mano alle
rogne. Come? Attraverso gente che fa
- o che almeno dà l’impressione di fare -, i vari Trump, Salvini, Duterte,
Bolsonaro del mondo. In nome di Dio, facile complice silenzioso di molti
individui inquietanti fin dai tempi di Adamo ed Eva. I nuovi ducetti sono
persone che sanno parlare al popolo che lavora e che paga le tasse e che teme
l’invasore diverso e che non ne può più dell’illegalità. Con il pugno di ferro,
what else? I mariuoli capiscono solo
quello, non l’aria fritta da congresso del PD/PT. Non le correnti interne, ma la corrente elettrica. Logica semplice ma
efficace che, negli ultimi anni, dopo i buoni e bravi e belli Obama del mondo,
ha premiato sempre di più alle urne elettorali, anche se i neoeletti sono
kitsch che più kitsch non si può (Berlusconi docet).
A questo
punto, nel mio piccolo, mi rimangono due speranze: che la sinistra mondiale si
risvegli dal coma, ritrovi la vista e sappia di nuovo cavalcare le grandi
battaglie con più intelligenza e meno ingenuità (per non parlare dei fetidi
protagonismi e dell’insopportabile arroganza da poltrona); che la violenza -
parlata e applicata - dei neo-ducetti mi smentisca, e cioè che non generi
ulteriore violenza. Temo, purtroppo, che non andrà così. La storia,
notoriamente, adora ripetersi.
Ciononostante,
ho fiducia nel magico Brasile e, soprattutto, nella sua gente (quella buona).
In Tropico Banana (Feltrinelli, 2001) scrissi: il Brasile, in senso positivo,
è una droga, prima ancora che un Paese dai confini delimitati. È un luogo
dell’anima, un mito idealizzato, uno spazio unico al mondo che ha la capacità
di cambiarci, rigenerarci, renderci più allegri e di godere al meglio, se lo
vogliamo, ciò che di buono la vita ha da offrirci. Dopo avervi messo piede la
prima volta, di solito, non possiamo più farne a meno: dà assuefazione. Lo
imporrei - assieme all’India, altro luogo dell’anima - a qualunque cittadino
del primo mondo, specie se in terapia contro la depressione, quale tappa
obbligatoria per la crescita/revisione mentale.
Viva
Brasil! è un collage di diciotto racconti e reportage di viaggio, scritti
nel corso di molti anni - prima e durante il governo di Lula - , con ritmi
narrativi e linguaggi differenti, macinati in un unico polpettone di parole
apparentemente senza capo né coda. Così come il Brasile è un frullato di realtà
diversissime tra loro. ‘Cugino cattivo’ dei miei libri precedentemente
pubblicati sul grande Paese sudamericano, ne racconta follie religiose e follie
sessuali, decadenza urbana e miserie umane, con una pennellata di humour e di
amore (non sempre evidente, ma non per questo assente) sul tutto.
Un avviso ai
lettori brasiliani nazionalisti (tutti), quelli che si incollano al televisore
appena c’è la seleção; a quelli che passano il tempo a lamentarsi del
proprio Paese, ma che prendono fuoco, issando bandiere e barricate, non appena
uno straniero osa fare altrettanto (il diritto di cronaca e di critica, credo,
appartiene a tutti): per favore, non storcete il naso più di tanto se, nei miei
racconti, maltratto il vostro a/dorato Paese. Io parlo male solo di ciò che
amo (ciò che odio
semplicemente lo ignoro), forse per l’utopia missionaria di cercare di
migliorare ciò che già ha tesori. Sconfiggere il marcio, parlandone, per
trasformare tutto in tesoro. In altre parole, lettori brasileiros,
anche se vi potrà vagamente sfiorare l’anticamera del cervello che io sia
l’ennesimo giornalista del primeiro mundo prevenuto, che ama dipingere
il Brasile a suon di meninos de rua e favelas e piranhas - soggetti di cui sono
inzuppati, innanzitutto, la vostra quotidianità, i vostri giornali e tv e libri e cinema; soggetti che vi hanno
portato all’ultimo responso elettorale -, sappiate che non avete capito un bel nada.
Io amo il Brasile. Se possibile, più di voi.
I fatti
narrati sono veri. Per evitare che qualche malintenzionato permaloso mi venga a
suonare il campanello, ho cambiato i nomi di alcune persone. I campanelli,
oggigiorno, costano.
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